giovedì 31 luglio 2014

My soul to take - Il cacciatore di anime



Da appassionate di horror quali siamo, non potete immaginare la nostra gioia nel sapere che ogni mercoledì Mediaset ripropone il ciclo Notte Horror, che negli anni della nostra infanzia ci ha regalato perle di divertimento assoluto. 
Anzi, col senno di poi, posso dire che è stata proprio Notte Horror a insegnarci la differenza tra il più basso e infimo esempio di splatter tragi-comico (quello che mandava in onda) e l'horror vero e proprio.
My Soul To Take si inserisce perfettamente nel filone che ricordavamo, così squisitamente pessimo da risultare quasi notevole, nella sua scarsità generale.
In realtà, devo ammettere che l'inizio del film ci aveva quasi illuse che, per puro errore, una pellicola decente fosse incappata in mezzo alle cianfrusaglie del canale nazionale.

Tutto comincia, infatti, in una tranquilla casa dell'anonima cittadina di Riverton, dove una donna incinta picchietta col dito sul pancione - e il bambino sporge la manina! - mentre il marito dipinge un cavallo a dondolo in cantina. Ad un certo punto, la donna sente un servizio al telegiornale sul serial killer che sta terrorizzando la cittadina e indica al marito l'immagine del servizio in cui viene mostrato il pugnale dell'assassino.
Poco dopo, il marito trova quello stesso pugnale sotto un mobile in cantina e da lì parte una bella lotta tra le varie personalità dell'uomo, che in preda al raptus finisce per uccidere la moglie e tenta di uccidere anche la figlia maggiore, prima di essere fermato dai proiettili della polizia.
Scene ben fatte, devo dire, che hanno fatto ben sperare, se non ci si soffermava troppo sull'innaturale resistenza alla morte (viene sparato una decina di volte ma continua a sorprendere gli agenti e farli fuori uno ad uno) e sulla vernice rossa che forse volevano spacciare per sangue.
Bravo soprattutto l'attore a rendere l'idea delle diverse personalità e bello anche lo spunto per la spiegazione sovrannaturale alla schizofrenia: diverse anime intrappolate nello stesso corpo.
Comunque, gli agenti cercano di portare il via il corpo ma un incidente di percorso - il cattivissimo Abel Plenkov resuscita per la decima volta - fa ribaltare l'ambulanza, che esplode e toglie la possibilità di sapere con certezza se il killer è morto per davvero. Nello stesso, preciso istante in cui l'ambulanza esplode, a mezzanotte come da manuale, sette bambini nascono nella cittadina e una macabra leggenda si forma intorno a loro. C'è chi dice, infatti, che l'anima di Plenkov tornerà a reclamare uno di quei corpi, per tornare ad uccidere...


Sedici anni dopo, i sette ragazzi si ritrovano nella radura dove è rimasta la carcassa bruciata dell'ambulanza per una specie di rituale dell'anniversario: uno dei sette deve "uccidere" il fantoccio di Plenkov, come segno di buon auspicio, o qualcosa del genere. La scelta ovviamente ricade su quello smilzo ed evidentemente emarginato, strano in senso di autistico più che in senso nerd, nonchè protagonista di tutta la faccenda.
Il ragazzo (Max Thieriot) infatti ha troppa paura per colpire il fantoccio e sembra sul punto di avere una crisi isterica, quando l'arrivo della polizia disperde il gruppo, che abbandona quindi il fantoccio per terra.
Quella stessa sera, uno dei sette, amico dello strano protagonista, viene aggredito da qualcuno mascherato da fantoccio (che è comicamente simile al mostro di Halloween The Beginning) e gettato nel fiume.
E', ovviamente, l'inizio di una strage tra i sette, che culmina quando restano in vita solo Bug, il protagonista, e il suo migliore amico.

Trama banale, direte voi. Dovreste vedere la realizzazione... 
Personaggi così stereotipati e inverosimili- la sorella del protagonista si fa chiamare Fang e gestisce la scuola secondo principi punitivi degni della Mafia Cinese, con tanto di punti, scagnozzi e strategie diversive - che ti fanno implorare che li si ammazzi subito, a cominciare da quella religiosa. Situazioni ben oltre il limite dell'improbabile, come la necessità di addentrarsi nel bosco ogni volta che i ragazzi mettono un piede fuori casa perchè le strade sono troppo mainstream. Effetti speciali degni di un cartone animato.
A questo aggiungo solo: colonna sonora che ricorda la qualità di quella del videogioco Super Mario Bros, il ragazzino smilzo che riesce a diventare un gigante di due metri per tre solo indossando un mantello e una maschera - cambia pure la voce! - e il ragazzo cieco che si arrampica sul tetto.
Sì, avete capito bene. C'è un ragazzo cieco che cammina normalmente e si arrampica sui tetti.


Il che è un peccato perchè l'idea di base, il dubbio se sia proprio Bug l'assassino in preda allo stesso disturbo da personalità multiple del padre oppure qualcun altro, tiene fino alla fine. Le scene di sdoppiamento della personalità sono senza dubbio le meglio riuscite dell'insieme e avrebbe avuto un che di poetico, vedere il tracollo psichico del ragazzo, sapendo già dove andrà a parare.
Invece no, tutte quelle scene vengono spazzate vie senza che gli sia data una spiegazione di qualsiasi tipo - non si capisce, ad esempio, il senso di Bug e Alex che si comportano come se fossero allo specchio - e proprio all'ultimo, quando il film avrebbe dovuto avere il suo apice schizofrenico, scade nella insensata possessione (?), senza che nessun segno di possessione sia mai stato accennato prima o che altri riferimenti alle anime siano stati fatti, a parte quell'accenno iniziale.

Eppure la mente dietro questo film è quella di Wes Craven, conosciuto soprattutto per  L'ultima casa a sinistra e Le colline hanno gli occhi, entrambi cult del genere datati classe '70. Si vede che Craven non è uno di quelli che invecchia bene, perchè My Soul To Take è il film che consigli al ragazzo che ti ha rigato la macchina, per dire.




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